Ho ricominciato a lavorare quando mia figlia aveva tre mesi. Sono una libero professionista e volendo avrei potuto aspettare ancora un po’, ma per la dura legge del freelance mi era capitato un progetto di quelli che sogni per anni. Lo sogni per anni e non arriva, quando smetti di sognarlo, anzi proprio non lo vuoi, ecco che bussa alla tua porta. Per qualche mese ci siamo organizzati con i nonni. Poi, quando Ludovica aveva 8 mesi, abbiamo deciso di mandarla al nido. I primi tempi sono stati una sofferenza enorme. Ogni mattina, quando la lasciavo tra le braccia dell’educatrice, mi sentivo come se mi stessero strappando un pezzo di carne. I sensi di colpa mi devastavano. Sul comodino avevo “Persone da zero a tre anni” e la sera lo leggevo con le lacrime agli occhi.
Ad aggravare la situazione ci sono state le malattie. Il nido, si sa, è una comunità e nasconde quindi le insidie di tutte le comunità. In primavera finalmente le cose hanno cominciato ad andare meglio: Ludovica non si ammalava più e soprattutto la vedevo molto serena. La mattina niente lacrime e quando andavo a prenderla la trovavo che giocava divertita. A ottobre avevo accompagnato al nido una bambina schiva, verso marzo ho cominciato a portarci una bambina estremamente socievole.
Quest’anno non ho dovuto rifare l’inserimento perché la prima settimana, ritrovando le vecchie educatrici e i vecchi compagni, era serena. Adesso, invece, sta attraversando un periodo in cui piange tutte le mattine e io me ne vado con la morte nel cuore. Le educatrici mi dicono che smette dopo pochi secondi, ma non posso fare a meno di sentirmi in colpa.
Ogni giorno penso che forse avrei dovuto smettere di lavorare e che faccio ancora in tempo a chiudere l’attività. Il senso di colpa è tornato alla ribalta alla grande, o forse semplicemente non è mai andato via. Però, nel profondo, so che mia figlia ha bisogno che sua madre sia realizzata anche professionalmente, perché solo così sarà completamente se stessa e potrà offrirle molto molto di più.
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