giovedì 22 ottobre 2009

Cambio di guardaroba

Ieri sera, mentre riorganizzavo gli armadi per il cambio di stagione, riflettevo su quanto è cambiata la mia vita dopo la nascita di Ludovica.

Prendiamo il mio guardaroba, per esempio; prima di diventare mamma i pezzi forti erano:
  • i jeans;
  • qualche abitino corto al punto giusto e scollato al punto giusto per le uscite serali;
  • tanga e push-up rigorosamente coordinati;
  • gli stivali con il tacco dieci per l’inverno, e il sandalo con il tacco dieci per l’estate (vabè dai, facciamo tacco 7);
  • il cappotto all’ultima moda;
  • qualche tailler carino per gli appuntamenti di lavoro.
I pezzi forti adesso, invece, sono:
  • i jeans;
  • qualche tuta sformata al punto giusto per le serate in casa;
  • slip e un reggiseno qualsiasi, rigorosamente pescati a caso nel cassetto della biancheria;
  • le scarpe sportive con il tacco zero per l’inverno, e le infradito con il tacco -1 per l’estate;
  • il cappotto all’ultima moda del 2007 (anno in cui sono rimasta incinta);
  • quello che capita, purché sia decente, per gli appuntamenti di lavoro.
Della mia vecchia vita ci sono dunque rimasti solo i jeans.

sabato 17 ottobre 2009

Mamma e freelance: è difficile ma si può

Lavorare come freelance presenta indubbiamente alcuni vantaggi:
  • essere il capo di se stesse;
  • avere orari (più o meno) flessibili.

Quando ufficio e casa coincidono, possiamo aggiungere alla lista anche
  • la riduzione a zero dei tempi per raggiungere il posto di lavoro, il che ci risparmia lunghe code imbottigliate nel traffico, o, in alternativa il dover correre a prendere treni o autobus cronicamente in ritardo e superaffollati;
  • la possibilità di starserne davanti al pc in tuta e scarpe da ginnastica, senza un filo di trucco e con i capelli non proprio impeccabilmente pettinati (sì; lo so, l’immagine è agghiacciante, ma giuro che cerco di essere presentabile).

Purtroppo, però, gli svantaggi sono di più. Potrei fare una lista infinita, ma non è necessario perché sono tutti riconducibili al dio di tutte le difficoltà: essere prese sul serio.
Se poi per lavoro scrivi (o traduci, che poi è più meno la stessa cosa di scrivere) le difficoltà aumentano e spesso nella testa delle persone che mi circondano leggo: Ma perché è un lavoro scrivere? Sì; e poi ancora sì.

É stata proprio Wonderland, con questo suo post, a spingermi a raccontare la mia esperienza. Perché lavorare come freelance e essere presa sul serio si può. Tra mille difficoltà, ma si può. Anche se l’unica possibilità è farlo da casa perché non ci si può permettere un ufficio o perché si vive in un posto in cui l’office sharing ha la stessa possibilità di esistere di un UFO.

Ho ricominciato a lavorare quando figlia professionista aveva tre mesi e all’inizio la mia giornata tipo era più o meno quella che descrive Wonderland. Poi, però, vuoi per la rabbia, vuoi per spirito di sopravvivenza, ho messo le cose in chiaro, guadagnandomi spazio e rispetto.
Mi sono decisa a iscrivere la bimba al nido, tra sensi di colpa e voglia di lasciare il lavoro, e le cose pian piano sono migliorate. Dalle 8.30 alle 13.00 io lavoro, cascasse il mondo, lavoro. E lavoro anche nel pomeriggio, durante il sonnellino di figlia professionista.
Quando accendo il pc, che si trova in una zona "riservata" del soggiorno, il resto del mondo lo lascio fuori. Se, per esempio, mio marito mi chiama per chiedermi: Cara, puoi chiamare l'idraulico? Rispondo: Non posso sono in ufficio. Se mi telefona mia madre perché vuole illustrarmi l’ultima ricetta della torta alle pere rispondo: Non posso parlare adesso, sono in ufficio. E sono in ufficio anche se il cesto della biancheria deborda; se il pavimento della cucina è sporco; se manca il pane. Tutte queste cose le rimando al tardo pomeriggio, alla sera, o a quelle giornate in cui il lavoro scarseggia.

Certo, quando invece le cartelle da redazionare o tradurre aumentano, e le circa 6/7 ore al giorno che in genere dedico al lavoro non mi bastano, oppure se la bimba si ammala, le cose si complicano notevolmente, ma con un po’ di organizzazione, tanta pazienza e qualche inevitabile momento di nervosismo, ci si riesce.

Il punto, penso, è che per risultare credibili agli altri, dobbiamo crederci soprattutto noi stesse. Non dico che sia facile, perché mentirei; non è facile per niente, però non è nemmeno impossibile.

Ah! ovviamente, per la frase sono in ufficio mi prendono tutti molto in giro. Ma almeno mi lasciano lavorare in pace.

venerdì 16 ottobre 2009

Disallattamento lento

Dopo il post sull’allattamento a oltranza di qualche giorno fa, ecco un post sul dis-allattamento lento. Se non si era ancora capito, la questione del come smettere di allattare ultimamente è il mio chiodo fisso.

Ho deciso di tentare la strada del dis-allattamento lento. Non so dove mi porterà questo percorso (probabilmente alla follia, o alla morte lenta per privazione del sonno), ma da qualche parte mi porterà. Forse.

Il mio metodo consiste nel distrarla con qualche gioco interessante quando le viene voglia di ciucciare. Di giorno funziona abbastanza bene, ma la notte è più difficile. È proprio invece quasi impossibile quando sente il bisogno di consolarsi o quando ha molto sonno.

Ieri, però, ho ottenuto il primo vero risultato. Quello più concreto. Ho portato figlia professionista a fare il vaccino antimeningococcico. Quando siamo uscite dall’ambulatorio piangeva e si lamentava per il dolore della puntura. Cercava conforto e, di conseguenza, cercava la tetta. Quando però le ho detto: tesoro, sai cosa facciamo? Adesso andiamo in quella bellissima pasticceria e compriamo un cioccolatino. Si è calmata. Non ci crederete ma è bastato un cioccolatino (che poi in realtà ha ciucciato solo per metà) per consolarla e per farle dimenticare la tetta e i capricci...

mercoledì 14 ottobre 2009

Biblioteca per giovani lettori. Omaggio a mia nonna.

Il primo libro che ho letto è stato Pinocchio. Non ricordo più quanti anni avevo, ma deve essere stato all’incirca verso la seconda elementare. Ricordo però perfettamente la meraviglia, la sensazione di essere grande (avevo letto un intero libro, tutto da sola!) e il piacere che ho provato tra le pagine della fantastica edizione illustrata che mi aveva regalato mia nonna.
Sì: mia nonna. Classe 1909; titolo di studio seconda elementare; le mani nodose da contadina e due guerre mondiali alle spalle; è stata proprio lei a introdurmi al piacere della lettura. Lei che leggeva ad alta voce le novelle di Verga, accanto al camino acceso, coperta con la sua mantellina azzurra, proprio come le nonne dell’immaginario fiabesco e un po’ anche come le fate. Lei che mi ha sempre raccontato tanto, anche di se stessa, e che ha saputo regalarmi le letture giuste, a partire da Pinocchio.
Quel piacere della lettura, che ho incontrato da bambina, non mi ha mai più abbandonata. E mi auguro che anche mia figlia lo sperimenti il più presto possibile.

Ecco, dunque, il mio personalissimo elenco dei libri che non dovrebbero mancare nella biblioteca del giovane lettore. Perché per appassionarsi alla lettura quando si è bambini o adolescenti forse serve anche fare gli incontri giusti.
Sono solo i primi titoli che mi sono venuti in mente, chi vuole aggiungerne altri?

Le avventure di Pinocchio, di Carlo Collodi, prima di tutto
Il piccolo principe, di Antoine de Saint-Exupèry
Alice nel paese delle meraviglie, di Lewis Carroll
I viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift
Anna dai capelli rossi, di Lucy Maud Montgomery
Pippi calzelunghe, di Astrid Lindgren
Il mago di Oz, di Lyman Frank Baum
Alle sette del mattino il mondo è ancora in ordine, di Eric Malpass
Lo strano caso del Dottoe Jeckyll e Mr. Hyde, di Robert L. Stevenson
E perché no, la saga di Harry Potter, che ha appassionato tanti giovani lettori

Sul piacere della lettura da piccoli, andatevi a leggere anche questo
post di Raperonzolo.

lunedì 12 ottobre 2009

All'uscita del nido

Tra mamme che si conoscono appena...

- Ciaoooooooo, ma com’è cresciuta!
- Ciao, anche la tua è cresciuta.
- Guarda come sorride! Ma quanti denti ha?! La mia ne ha ancora pochi...
- Ce li ha quasi tutti, sta mettendo i molari.
- È bella in carne. Mangia, eh?
- Sì, abbastanza.
- La mia, invece, non ne vuole proprio sapere. Vuole sempre e solo latte e biscotti.
- La mia, invece, il latte non lo beve quasi mai.
- Senti, ma tu le hai fatte tutte le vaccinazioni?
- Non ancora, mi manca l'epatite A, ma forse non la facciamo.
- Io, invece, non ho fatto nemmeno la trivalente. Non so se farla. Tu che dici?
- Noi l’abbiamo fatta. Veramente abbiamo optato per la quadrivalente, quella con anche la varicella.
- E come è andata?
- Ha avuto febbre molto altra per 5 giorni. Ci siamo un po’ spaventati, ma poi il pediatra ci ha detto che capita.
- Glielo fai il vaccino per l’influenza suina?
- Non so, dipende da quello che ci consiglia il pediatra.
- Io quello glielo faccio sicuro, ho troppa paura di questa nuova influenza.
- Capisco.
- Forse è meglio se ci spostiamo. Qui c’è troppo sole.
- Sì, è vero c’è parecchio sole, però è piacevole, finché dura... Noi comunque andiamo. È ora del riposino pomeridiano.
- Dorme il pomeriggio?
- Sì; un paio d’ore.
- Beata te.
- Sì; beata me...

mercoledì 7 ottobre 2009

Allattamento a oltranza

Oggi faccio outing: allatto ancora al seno una bambina di 19 mesi. No, non sono una sostenitrice dell’allattamento a oltranza. Semplicemente, non so come smettere. Secondo i miei progetti avrei dovuto allattare fino a 12, massimo 15 mesi, e invece siamo quasi a 20. Sìsì, lo so, qualcuna mi dirà: tranquilla, non conosco ragazzi di 18 anni allattati al seno, quindi prima o poi smettono da soli. Io, però, conosco bambini di 4 anni che ancora vogliono poppare e non voglio che sia questo il nostro destino. Sì, nostro, mio e di mia figlia, perché ormai credo che non sia troppo un bene nemmeno per lei. Credo che fino a 12 mesi l’allattamento al seno sia il regalo più bello che una madre può fare al proprio bambino, e spesso anche a se stessa, ma adesso figlia professionista ha bisogno di abituarsi a dormire senza sentire la necessità di avere la tetta della mamma a disposizione, ha bisogno di imparare a consolarsi in un modo diverso, insomma ha bisogno di altro. E però la tetta le piace veramente tanto: è la sua merenda preferita, il suo sonnifero, il suo calmante, l’unico alimento e l’unica bevanda che accetta quando non si sente molto bene.

Ho la prolattina a palla, sono stanchissima e sempre più nervosa, ma non trovo una soluzione. Non credo nell’autosvezzamento. Cioè, è evidente che prima o poi smettono, ma vorrei non arrivare oltre i 2 anni. Ci ho pure provato. Ho provato con la dialettica, che in tutte le cose è da sempre il mio metodo preferito, ma se provo a dirle
Amore, non è più il caso di ciucciare, sei una bambina grande ormai. I bambini grandi non bevono il latte della mamma, bevono quella della mucca, e nel latte della mucca ci possiamo mettere pure il cacao, che ti piace tanto, e ci puoi inzuppare i biscotti, quelli buoni buoni.
Mi risponde
Latte mamma buono. Latte mucca piace no.
E io non resisto e cedo. Cedo e anche se mi sono ripromessa di non darglielo più la lascio mammare, almeno un po’... E poi ancora un po’, e un altro pochino... fino allo sfinimento. Mio.
Qualche volta ho provato a non cedere, e a continuare con la dialettica, con il risultato di urla disperate, fiumi di lacrime, insonnia a gogò e notti trascorse sul divano a guardare i Teletubbies.
Ho poi provato con un metodo un tantino più brutale. E un po’ me ne vergogno. Ma me lo aveva consigliato persino il pediatra, quindi mi sono detta non le farà male. Mi riferisco al metodo infallibile del miele e sale, che però con noi ha fallito e ci è costato moltissimo in termini di stress, sensi di colpa (miei ovviamente), vari ed eventuali altri sentimenti negativi. Insomma, dopo due giorni di sofferenza reciproca, figlia professionista è tornata alla carica, e nemmeno il disgusto di quel sapore l’ha fermata. Ma forse è colpa mia, forse non sono stata sufficientemente determinata.

Di metodi me sono stati consigliati altri, che dividerei in tre categorie: del disgusto, dello schifo, e del’incarcerazione del capezzolo. Del metodo del disgusto, oltre a quello infallibile del miele e sale (che pare essere il più infallibile in assoluto, oltre che il meno schifoso) fanno parte il metodo dell’aceto e quello del peperoncino (che mi fa inorridire al solo pensiero); il metodo dello schifo consiste nello sporcare il seno con qualcosa, per esempio con una matita per il trucco; mentre il metodo dell’incarcerazione del capezzolo prevede che vi si applichino dei cerotti.

Vi prego, se qualcuna ha avuto la pazienza di leggermi fino in fondo, e ha un esperienza simile, può consigliarmi un metodo alternativo? Voi, come avete fatto? E poi vi prego, ditemi che non sono l’unica mamma incapace di dis-allattare.

Infine, a tutte le mamme che hanno allattato oltre i 4 anni, a quelle che hanno usato i metodi di dis-allattamento che ho elencato, dico che voi avete fatto bene così, perché sentivate che era giusto. Le riflessioni fatte in questo post valgono solo per me. Perché di una cosa sono convinta: ogni mamma ha il sacrosanto diritto di decidere se e per quanto tempo allattare al seno i propri figli e di stabilire il metodo migliore per smettere.

venerdì 2 ottobre 2009

Top ten dell'odio

Le dieci cose che figlia professionista odia di più al mondo sono
- le zanzare, che chiama “queste maledette”
- il seggiolino dell’auto
- il passeggino
- le pappe senza formaggio
- il lupo che vuole mangiare i tre porcellini
- la noia
- gli estranei
- il silenzio
- il verbo dormire
- il momento in cui varchiamo la soglia del nido.