mercoledì 3 febbraio 2016

Mamme con partita Iva, il Jobs Act 2016 non basta


Ho aperto la partita Iva nel 2005, in tempi in cui quasi non se ne parlava. Il cosiddetto popolo delle partite Iva era ignorato, a me però sembrava bello poter lavorare per più aziende e costruirmi una professionalità tutta personale, un lavoro autonomo, mio. Infatti è stato bello e lo è ancora. Mi piace molto quello che faccio, ma non per questo devo essere tutelata meno delle altre categorie di lavoratori.


In questi giorni, finalmente, si parla tanto di lavoratori con partita Iva, grazie soprattutto alle novità introdotte nel cosiddetto Jobs Act 2016. Ieri sera se n’è discusso anche a Ballarò. Ero stata invitata a partecipare, insieme alle altre partite Iva che sono state presenti, ma non mi è stato possibile per motivi organizzativi. La mia domanda, però, quella che mi sarebbe piaciuto porre in trasmissione, la voglio fare comunque. Resterà senza risposta, ma pazienza, ritengo utile in ogni caso parlarne. Infatti, uno degli aspetti più positivi della discussione sul Jobs Act 2016 è che finalmente si parla di partite Iva in maniera diversa. Si parla di diritti del popolo delle partite Iva come non s’è mai parlato prima, il che è sicuramente un bene, così come è un bene che siano state introdotte alcune tutele. Certo, però, è solo il primo passo; la strada si presenta ancora lunga e tortuosa…

La domanda che avrei posto, se fossi andata in trasmissione, avrebbe riguardato la maternità, argomento che mi sta particolarmente a cuore, in quanto donna e mamma.

Nel post Mamme con partita Iva: servono più tutele, avevo raccontato la mia storia, e in realtà in quell’occasione avevo già posto la mia domanda. Tra il 2008 e il 2012 ho lavorato poco per le ragioni che avevo esposto nell'articolo appena citato e così, quando nel 2012 sono rimasta nuovamente incinta e sono andata a chiedere la maternità, mi è stato risposto che non avevo contribuiti a sufficienza perché, appunto, negli anni precedenti avevo lavorato poco. Poi, per un caso fortuito e fortunato, ho ricevuto una chiamata per una breve supplenza a scuola (all’epoca ero iscritta in terza fascia) e… l’assegno di maternità che mi era stato negato come lavoratrice con partita Iva, mi è stato invece riconosciuto come insegnante precaria. Qualcuno potrebbe spiegarmi perché? Perché alle donne con partita Iva vengono fatti i conti in tasca sui contributi? Attualmente io, come tutti gli iscritti alla gestione separata, pago un’aliquota INPS del 27,72% (che è altissima, se la confrontate con quella di altre categorie di lavoratori), e cosa ricevo in cambio? Non mi posso ammalare, se restassi nuovamente incinta dovrei sperare di aver accumulato abbastanza contributi per prendere almeno un assegno ridicolo e, con grande probabilità, se e quando andrò in pensione mi spetterà una miseria. 

Sulla maternità, il Jobs Act 2016 qualche passo avanti lo fa ma… ritengo che sia basilare pensare anche al fatto che una lavoratrice con partita Iva debba avere il diritto di ricevere un compenso, durante la maternità, come tutte le altre lavoratrici; né più, né meno; indipendentemente dai contributi versati, come accade per altre categorie di lavoratrici.

La mia è stata una seconda gravidanza difficile; una lavoratrice appartenete ad altre categorie avrebbe giustamente avuto il diritto di astenersi dal lavoro, anche anticipatamente, percependo una retribuzione. Perché una donna con partita Iva non deve avere lo stesso diritto?

Se vuoi leggere lo statuto del lavoro autonomo, lo trovi qui

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