In questi giorni di avvenimenti
terribili, mi sento un po’ accartocciata su me stessa. Ho voglia di scrivere,
ma faccio fatica a trovare gli argomenti giusti. Tutto mi sembra banale e fuori
luogo.
Però, pensandoci un po’, ho
deciso di rispondere pubblicamente a F., una ragazza di 18 anni che mi ha
scritto per farmi alcune domande. La sua breve e-mail mi ha fatto particolarmente
piacere. Insomma, è sempre molto bello per me ricevere due righe da chi mi
legge, ma se chi mi legge è una giovanissima che potrebbe essere quasi mia
figlia, allora diventa emozionante.
F. mi ha chiesto che studi ho
fatto e se mi sono stati utili per fare il mestiere che ho scelto. Deve
iscriversi all’Università e vuole essere sicura di compiere la scelta giusta.
Le ho già risposto in privato, ma oggi voglio risponderle meglio.
Non so quale sia la scelta
giusta, ma posso raccontare la mia storia.
Quando, nel lontano 1994 (o era il
1995?) scelsi di iscrivermi a lingue, mi dicevano che fosse un corso di laurea pressoché
inutile e che sarei stata disoccupata a vita. Mi consigliavano medicina. Io non
volli sentire ragioni. Avevo chiaro il mio obiettivo professionale: fare la
traduttrice, preferibilmente in campo letterario. Scelsi “
Quelle lezioni appassionate di Critica e
filologia shakesperiana, che ho seguito assiduamente per anni, al di là degli
esami che avrei dovuto fare, hanno avuto il potere di alimentare ulteriormente
le mie passioni, fino a cucirmele sulla pelle.
La passione è contagiosa ed è un motore pazzesco.
Ti porta a superare i tuoi limiti. Ti spinge lontano.
Quando mi sono laureata, ho
accettato un lavoro come segretaria, ma ho continuato a coltivare i miei sogni,
finché, dopo aver cambiato tre uffici in un anno (ero un tantino irrequieta), ho trovato la prima occupazione
che somigliava ai miei desideri. Scrivere sceneggiature di filmati che venivano
usati in corsi di aggiornamento professionale per medici, i cosiddetti corsi
ECM. Non era teatro, ma si trattava comunque di scrivere dialoghi, di cercare
attori che li recitassero, di realizzare una messa in scena. Non era
traduzione, ma era scrittura, che non sono poi due cose così diverse. Dopo
qualche anno di questo bellissimo lavoro, ho sentito forte l’esigenza di mettermi
a tradurre e di farlo come libero professionista. Grazie all’esperienza in
azienda, avevo acquisito molto del linguaggio della medicina e questo mi ha
consentito di buttarmi, con non poca incoscienza, nel mercato della traduzione
medica come freelance. Era il periodo a cavallo tra il 2004 e il 2005.
La passione per il teatro e per
la traduzione mi ha portata quindi in una direzione che non avevo previsto, ma mi
ha comunque portata laddove mi piace stare.
Quello che vorrei dire a F. è
dunque questo. Io non ho risposte, ma sono certa di una cosa: i sogni vanno
custoditi e coltivati. L’università non è un luogo in cui si va solo per fare
esami, l’università è un posto meraviglioso, in cui aprire la mente. Seguire i
corsi, partecipare ai seminari, anche a quelli che non sono direttamente
finalizzati agli esami, aiuta, talvolta, a rimanere in contatto con le proprie
aspirazioni. Le passioni si coltivano, inoltre, leggendo, informandosi,
avvicinandosi ai contenuti con senso critico, curiosando in giro. È un periodo
economicamente difficile e il lavoro scarseggia. Per farcela bisogna avere dunque
una marcia in più. Quella marcia in più che viene dalla curiosità, dalla voglia
di sapere e di formarsi sempre più, sempre meglio.
Non è impossibile trovare il
proprio percorso professionale in questo mondo un po’ disfatto, ci vogliono
solo determinazione e un po’ di fantasia.
alla fine sei tornata a medicina... a modo tuo però
RispondiEliminaSì: è vero. :)
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